Ad altezza d’uomo
Claudio Damiani
Le immagini di Stefano Spinelli sono sempre ad altezza d’uomo, all’altezza degli occhi dell’uomo in piedi, ovvero base dei tronchi e qualche metro più su, e un po’ di terra, non sempre; non abbassa gli occhi né alza lo sguardo in su, alle cime. È come se camminasse nel bosco, non che lo contemplasse ma lo attraversasse, lo penetrasse, un camminare senza fermarsi, lento, trovando una via segreta dentro di lui.
Non ci sono le cime e non c’è il cielo, non siamo davanti, siamo dentro. E poi l'albero non è mai solo, è sempre insieme agli altri. Sempre bosco, l’albero solo non interessa al fotografo, tronco e chioma completi voglio dire, con terra ai piedi e cielo in testa.
La vista è poi quasi sempre ampia, come il campo visivo degli occhi, l’immagine non è quella che vede la macchina, è quella che vede Spinelli. Lui guarda il bosco fermo davanti a sé, apparentemente fermo, all’altezza dei suoi occhi, e con l’ampiezza, che a volte leggermente curva ai lati, della sua visuale.
Stefano non esplora, non va sotto né sopra, è affascinato dalla comunità, dal corale del bosco. Le linee dinamiche dei tronchi, che accennano al movimento, lo creano.
La pianta che sta ferma e per definizione resta per tutta la vita nel punto dove è nata, la vediamo muoversi, o accennare, pensare il movimento: quando ci sono quei tronchi inclinati specialmente, cadenti o caduti, e altri tronchi che li sorreggono, e sembrano frecce di movimento, vettori, come la selva di lance del mosaico di Alessandro Magno, o le battaglie di Paolo Uccello. Altre volte gli alberi giacciono sul terreno, morti, insepolti. E sentiamo la pietas di questo convivere di vivi e morti, sentiamo il lento farsi terra dei morti, e come bosco e terra siano una sola cosa, il bosco viene dalla terra, e la terra dal bosco, tutto è in relazione. Anche l’aria tra i tronchi, e la luce.
Sono vecchi, giovani, di mezza età, e bambini anche. Può capitare che nell’ombra un raggio illumini un bimbo reclino, con le sue foglie d’oro. E’ incredibile i gesti che fanno con i rami, e il movimento dei tronchi, sono tutt’altro che statuari. Questi alberi sono vivi e ci comunicano vita. Non sono “belli”, sono come sono, niente di più niente di meno.
Spinelli non sceglie, ma guarda, guarda solo, e ascolta. Non cerca di capire scientificamente, né ha verso il bosco un atteggiamento mistico, annullandosi in lui. Non ci si perde, resta fermo davanti a lui, e guarda.
Quella di Spinelli è una visione frontale, non è una vista ma è una visione, un mondo. A altezza d'uomo vediamo un mondo, che è il mondo da cui veniamo, la nostra antica casa. Ritroviamo lei e ritroviamo noi.
Stefano entra nel bosco e non ci si perde, anzi ci si ritrova. Lo vede, lo ascolta, parla con lui. Il suo intrico, la sua complessità, non lo spaventa. Rimane con i sensi fermi, umani. Osserva la luce che viene da fuori, ma anche quella che viene da dentro. Sente le energie, le luci che dentro premono, le voci. Voci varie che si mischiano e fondono in un brusio.
Questo mondo così complesso è pieno di cose da dire. Questo mondo in cui noi abbiamo vissuto tantissimo in passato, e ce ne siamo allontanati solo da poco, questo mondo che è stato da sempre il nostro mondo, e in cui abbiamo imparato tutto.
Stefano entra umano e esce più umano. Cerca una voce, che è la sua, quella che qui aveva lasciato.
Non è solo il mondo, questo, in cui noi abbiamo vissuto la gran parte del nostro tempo da quando siamo apparsi sulla terra, ma è anche il mondo che precede il nostro, che ha permesso il nostro. Ossigenando l’aria che prima della nostra venuta era irrespirabile, le piante hanno preparato la nostra esistenza. Sono i nostri genitori. Senza di loro noi non saremmo.
Senza i “verdi” (consumatori di CO2 e produttori di ossigeno) non ci saremmo noi, gli animali, i “rossi” (consumatori di ossigeno e produttori di CO2). E le nostre macchine, anche, che sono come noi, a nostra immagine e somiglianza.
I “verdi", poi, non mangiano altri esseri, non uccidono altri per nutrirsi, come facciamo noi, e vivono solo di aria, luce, acqua, e sali minerali che prendono dal terreno. È una cosa che ci pare incredibile, ma è così.
Tronchi rami foglie, ma anche foglie secche per terra, rampicanti e felci, sottobosco, tutto concorre a fare mondo, questa rete intricata e complessa che si mostra ai nostri occhi.
Oltre alle verticali dei tronchi, stupiamo delle tante linee orizzontali o anche solo leggermente oblique, ci appare visivamente la rete che il bosco essenzialmente è. Stefano riflette sull'incredibile senso di comunità, di rete che hanno gli alberi. Il dialogo fitto e complesso che c’è tra di loro.
Studi recenti, noti a tutti, evidenziano l’incredibile senso di solidarietà e comunità tra gli alberi, il loro sostenersi e alimentarsi a vicenda, in certi casi addirittura curarsi. Ciò avviene soprattutto nella parte sotterranea, a noi invisibile, nelle radici. Lì avvengono incredibili comunicazioni chimiche, oltre a vere e proprie progettazioni e scelte, individuali e collettive, essendo le radici la parte pensante dell’albero, una sorta di rete cerebrale diffusa.
Siamo nel bosco e abbiamo la sua immagine all’altezza dei nostri occhi, siamo in piedi come sono gli alberi, verticali sul terreno. Ascoltiamo il silenzio pieno di voci, le tante presenze di uccelli e animali, la vita che lo abita, e le voci delle piante anche, la loro immobilità che si muove, respira. Respiriamo l’aria del bosco, la sua freschezza ombrosa piena di aromi vitali.
Non è per salvare il mondo che ritroviamo un rapporto con gli alberi, sembra dirci il fotografo, né per salvare noi stessi. Ma perché stiamo bene vicino a loro, e male lontano. Perché vogliamo guardarli e stare davanti a loro, accanto a loro, con loro. Vogliamo condividere con loro il nostro tempo.
Io vedo in Spinelli un’idea neoumanistica: un ritrovare la natura non romanticamente perdendocisi, ma classicamente ritrovandocisi. Essere non al centro né tanto meno all’apice, ma dentro la natura, esseri umani dentro una natura immensa, ampia, intelligente. Intelligenze dentro altre intelligenze, che imparano a vicenda.
Quante cose abbiamo da imparare dagli alberi! Il senso di comunità, di solidarietà, certo, ma anche la calma, la pazienza, la fiducia, l'accettazione. L'accontentarsi del poco, di quello che c’è, che cade. Non è passività, è azione calma, saper sfruttare le condizioni, saper relazionarsi a tutto ciò che è intorno, fare rete con tutto, anche con noi.
E noi, ci dice Spinelli, facciamo rete con loro.